L’ultimo film del regista Marco Bellocchio, intitolato Esterno Notte, ha come tema centrale un fatto storico, ovvero il caso Moro. Il film, presentato al Festival di Cannes a maggio 2022, uscito nelle sale cinematografiche in due parti tra maggio e giugno e trasmesso su Rai 1 in formato serie tv a novembre, riguarda infatti le vicende storiche del 1978 legate all’agguato, al sequestro, alla prigionia e all’uccisione di Aldo Moro.

Per capire meglio quanto si vede e viene raccontato nel film di Bellocchio, ripercorriamo allora la Storia che c’è dietro…

Il punto di partenza di questa Storia è la mattina del 16 marzo 1978.

IL CONTESTO STORICO – Quel giorno il nuovo Governo si presenta in Parlamento per ottenere la fiducia. Si tratta del Governo Andreotti IV, quello formato dalla Democrazia Cristiana con l’appoggio esterno del Partito Comunista, aprendo così la stagione del cosiddetto “compromesso storico”, ovvero quel tentativo di avvicinamento tra i due principali partiti politici italiani del tempo (DC e PCI) portata avanti da Aldo Moro (Presidente della Democrazia Cristiana, nonché ex Presidente del Consiglio) ed Enrico Berlinguer (Segretario del Partito Comunista). Bisogna inoltre ricordare che gli anni Settanta rappresentano un periodo di grande fermento politico e sociale, di stragi e atti terroristici, di forte violenza politica.

L’AGGUATO DI VIA FANI – Arriviamo quindi al 16 marzo 1978: quella mattina, intorno alle ore 9, l’auto che trasporta l’onorevole Aldo Moro da casa sua alla Camera dei deputati viene bloccata in via Fani a Roma da alcuni membri delle Brigate Rosse, un’organizzazione terroristica di estrema sinistra. In pochissimi minuti i brigatisti uccidono i cinque uomini della scorta e rapiscono Moro. La notizia della strage di via Fani e del rapimento di Moro si diffonde immediatamente e colpisce fortemente l’opinione pubblica italiana. Le trasmissioni televisive vengono interrotte dalle edizioni straordinarie dei telegiornali e, soprattutto a Roma, molte attività quotidiane (come i negozi, ma anche le scuole) vengono sospese. Dopo circa un’ora da quanto avvenuto, arriva la rivendicazione delle BR, attraverso una telefonata all’agenzia ANSA.

IL SEQUESTRO DI MORO – Dopo il rapimento, Moro viene rinchiuso e sorvegliato dalle BR in un qualche luogo nella capitale, tra cui, come è stato ricostruito dai processi, un appartamento in via Montalcini. Durante il sequestro Moro, gli uomini delle BR scrivono in tutto nove comunicati indirizzati agli organi dello Stato, fatti recapitare attraverso telefonate a vari giornali. Nel primo di questi comunicati si annuncia che l’onorevole Moro, definito “gerarca” e “stratega indiscusso di quel regime democristiano”, sarà processato da “un tribunale del popolo”. Allo scritto si accompagna anche una fotografia, divenuta poi celebre, di Moro davanti a una bandiera delle Brigate Rosse. Lo Stato si adopera fin da subito nelle ricerche, mettendo di fatto sotto assedio la città di Roma, con posti di blocco ovunque.

LA TRATTATIVA – Le Brigate Rosse avanzano anche la proposta di scambiare la vita di Moro con la libertà di alcuni terroristi detenuti (tra cui i fondatori delle BR, Curcio e Franceschini). Gran parte del mondo politico però si dichiara contrario alla trattativa, sostenendo invece la linea della fermezza: a pensarla così sono la Democrazia Cristiana, il Partito Repubblicano, i socialdemocratici, il Partito Liberale, il Partito Comunista e il Movimento Sociale Italiano. Il fronte invece possibilista, aperto a una trattativa, è sostanzialmente composto dal Partito Socialista di Craxi, e da esponenti radicali, cattolici progressisti, membri della sinistra non comunista, intellettuali. Anche il papa, Paolo VI, tenta una trattiva, chiedendo direttamente alle BR la liberazione di Moro, ma “senza condizioni”. Su queste differenti vedute, sulla difficile conciliazione tra ragion di Stato e salvataggio di una vita umana, si consuma lo stallo delle trattative, che si protrae per settimane senza giungere a nessun risultato.

EPISODI INCREDIBILI – Il caso Moro inoltre è costellato anche di episodi e vicende particolari, poco chiari e in alcuni casi anche un po’ assurdi e incredibili. Ad esempio il 18 aprile viene recapitato un comunicato delle Brigate Rosse (che si dimostrerà ben presto essere un falso), che annuncia la morte di Aldo Moro per suicidio e la possibilità di recuperare la salma nel lago della Duchessa (in provincia di Rieti, al confine con l’Abruzzo). Viene così mobilitata il giorno dopo un’enorme quantità di uomini per la ricerca del corpo di Moro, ma le operazioni risultano di grande difficoltà a causa della superficie ghiacciata del lago (a dimostrazione ulteriore dell’impossibilità della presenza di Moro nel lago e quindi della falsità del comunicato). Un altro episodio, misterioso, riguarda un professore universitario bolognese, Romano Prodi, protagonista insieme ad altre persone di una seduta spiritica durante la quale viene rivelato il luogo in cui è prigioniero Moro: Gradoli. Anche in questo caso viene messa in piedi una maxi operazione delle forze dell’ordine a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo, sul lago di Bolsena, che però termina in un nulla di fatto. Due settimane dopo la polizia scopre l’appartamento dove viveva il brigatista organizzatore del sequestro Moro, sfuggito casualmente alla cattura che avrebbe potuto cambiare le sorti della vicenda: il covo si trova in via Gradoli, a Roma.

LE LETTERE DI MORO – Durante la prigionia Moro scrive ben 86 lettere, alcune delle quali fatte recapitare dalle BR ai diretti interessati, ovvero le alte cariche dello Stato, i principali esponenti politici della Democrazia Cristiana, la sua famiglia, papa Paolo VI e i principali quotidiani italiani. In queste lettere il Presidente della DC cerca di convincere i colleghi di partito ad aprire una trattativa con le BR. Ma per questo motivo da parte del mondo politico del tempo però si sostiene che Moro non abbia piena libertà di scrittura, che sia fuori di sé, che le lettere quindi siano da ritenersi dettate o comunque ispirate dai brigatisti. La ricerca storica, gli studi successivi e i processi hanno però smentito tale ipotesi.

LA MORTE – Il sequestro di Aldo Moro dura ben 55 giorni. Si conclude la mattina del 9 maggio 1978 quando il Presidente della Democrazia Cristiana viene ucciso dalle Brigate Rosse e il suo cadavere posto nel bagagliaio di una Renault 4 rossa abbandonata in Caetani, in pieno centro a Roma, a metà strada tra la sede della DC e quella del PCI. Anche in questo caso la notizia della morte di Moro, data ancora una volta nelle edizioni straordinarie dei telegiornali, colpisce molto la popolazione italiana.

I PROCESSI E LE CONDANNE – Riguardo il caso Moro ci sono stati in totale cinque processi. Ad essere condannati per l’agguato in via Fani e l’uccisione della scorta sono Franco Bonisoli, Prospero Gallinari, Raffaele Fiore e Valerio Morucci. Quest’ultimo, insieme alla compagna Adriana Faranda (anche lei condannata), si era occupato di far recapitare le lettere di Moro e i comunicati delle BR, oltre quindi a fare le telefonate. In quanto mente e organizzatore dell’intera operazione è stato condannato Mario Moretti, che insieme alla compagna Barbara Balzerani (anche lei condannata) occupava la base in via Gradoli. Infine vengono condannati anche Anna Laura Braghetti e Germano Maccari, intestatari e inquilini ufficiali del covo di via Montalcini.